Come una muta foglia oramai senza vita di un qualunque albero usticese, che si abbandona al più piccolo soffio di vento per volare più in alto, e lo fa cercando di schivare tronchi robusti e rami spinosi, per poi alla fine ambire e toccare il cielo almeno per una sola volta nella vita.
Similmente rammenta libera senza razio né meta il volo di una delicata farfalla, che è fatalmente proprietaria soltanto di un infausto giorno di vita.
Così quella mutata e leggera lamina, oramai ingiallita dal tempo, dolcemente plana al suolo con poche speranze, e solo più tardi sarà pronta a nutrire quella stessa terra vulcanica che l’ha fatta nascere.
Lentamente e a malincuore ha cambiato il colore della sua veste prima di staccarsi dall’albero della vita, dove stava sicura a discutere con le sue sorelle, ammirando di fatto uno dei tanti panorami stupendi dell’isola.
Testimone fu il ricordo che di tanto in tanto vicino a lei si rifugiava un baldanzoso e ahimè feroce pettirosso, capace di staccare la testa a un suo rivale, e lo faceva solamente per difendere il suo amore.
Oppure come un nero corvo imperiale, che un dì perse il proprio partner e non si risposò mai più, pertanto rassegnato e triste accettò la fine di un grande amore, e con tanta indifferenza rimase così appollaiato al ramo più alto.
Fu anche teste oculare di una giuliva allodola, che di giorno col suo piccolo becco appuntito, volando sopra il campo di lenticchie cercava imperterrita di bucare gli occhi della sua perenne nemica, la civetta, poiché questa, su un rudere, rimaneva ferma e abbagliata dalla luce del sole.
Ed è di notte che l’impaurita canterina, simbolo di saggezza e spiritualità, era costretta a nascondersi fra le feraci zolle del campo, allo scopo di non essere il pasto notturno del vorace rapace.
Questa umile foglia morta sarà invece rassegnata al suo destino, pronta così ad essere calpestata, dove solo il suo vissuto è andato via in alto mare fra folate di venti giudiziosi e furiosi turbini indecorosi.
Pietro Fiorito.