Ustica sape

Sono stato un Clochard.


Mi trovavo un pomeriggio di fine estate del 1973 sul terrazzo della villa di mio zio Luigi, ubicata a metà strada in via Mezzaluna ad Ustica, con quel meraviglioso panorama che si porge gentile più al cuore che all’occhio umano.

La vista che si genera sul Porto e sulla Cala di S. Maria, produce una medicina naturale che, prescritta da Dio, nutre e cura solo il benessere dell’anima.

Zitto mi intrattenevo, spesso e volentieri, ad ascoltare con grande interesse la Sua ampia cultura, e fu così che mi raccontò, con dovizia di particolari, un fatto di cronaca relativa ad un barbone, vissuto a Mazara del Vallo dal 1940 e morto di stenti appena un paio di mesi prima di quel dì.

La caratteristica stava nel fatto che, per la gente del luogo, quel “Clochard” fosse nientemeno che “Ettore Majorana”.

Infatti i ragazzi della piazza si facevano aiutare  da  lui  a risolvere i compiti di Matematica,  Fisica,  Scienze Filosofiche e ……, e li chiariva senza sforzo con grande facilità e passione.

Come poteva un semplice muratore, così si presentò quando giunse nella cittadina, conoscere e spiegare la soluzione di  problemi di inconfutabile  livello scientifico o culturale? Ultimamente ho ripreso questa storia da uno di quei momenti a me cari, trascorsi in gioventù sulla mia cara e amata Isola.

È con una certa empatia che è nata questa mia particolare composizione, pertanto chiedo scusa alla Sua Memoria, per essermi immedesimato in lui con grande presunzione.

——-

Sono stato un Clochard.

Sono stato per più di 33 anni tranquillamente sdraiato sui gradini della statua del San Vito Mazarese;

oppure serenamente dormiente dentro l’Arco Normanno, dove mai  nessuno  si permise,  nemmeno  con parole ostili di disturbare quel mio sonno palese.

Stavo lì con le mie cose, nonché con quel ricordo nitido estirpato  dalla sintesi della mia memoria, che imputava forzatamente la mia coscienza ogni giorno senza boria.

Quindi rea si presentava colpevole al mio cospetto, ed era pronta a espiare quella attuale presente punitivo, che oggi da Quassù non più rivivo.

Non chiedevo nulla perché non pretendevo niente;

soprattutto non volevo quella commiserazione avvilente, e vale a dire quando “lo sguardo dell’uomo diventa meschino e tagliente”.

Tanto che non volevo né soldi, né abiti, né cibo, ero burbero con gli invadenti, ma disponibile con gli studenti.

Dal mio sguardo trapelava solo una umana fierezza; ma solo a Dio chinavo il mio capo penitente con tanta tristezza.

Sono sicuro che vi siete arrovellati il cervello, per conoscere quantomeno il mio battesimo nome;

vi siete anche chiesti, come mai un uomo così intelligente, stava lì a bivaccare da così tanto tempo e senza nemmeno un distinto cognome.

Magari avreste voluto scoprire in qualche modo, se fossi stato io a scegliere la vita di un barbone;

o fu Lei, meschina e certa, a scegliere me con tanta precisione.

Invece, grazie all’apertura della mia mente, ebbi la capacità di comprendere Dio con la Sua religione, e  l’Universo con le Sue scienze e tutto in modo naturale e agevolmente. Intesi perfettamente che entrambe ti aiutano a comprendere meglio la tua esistenza, poiché sono a completa disposizione dell’uomo. Però sempre dubbiose si affacciano curiose a guardare la stessa realtà eternamente;

e lo fanno da due finestre diverse situate però nello stesso piano e simultaneamente.

“IO VEDO QUELLO CHE VOI NON POTETE VEDERE”, questa era l’unica frase con cui a volte mi rivolgevo ad alta voce ai ragazzi della piazza;

questo perché il nostro intelletto ogni tanto al primo ostacolo, si aggroviglia e si imbarazza.

Così, come ho vissuto in silenzio la mia vita tra di Voi, sereno e senza far rumore, me ne andai in punta di piedi;

pronto a calcare un altro teatro che Dio aveva preparato per me senza arredi.

Vi ringrazio sentitamente per tutte le onoranze funebri che avete al mio corpo riservato;

persino quella della banda musicale del paese che ho tanto apprezzato.

Qui, dove sono IO, non patisco né la fame né il freddo, e sono felice poiché non conosco più la solitudine e tanto meno la rassegnazione;

sosto finalmente beato assieme ad anime trasparenti, sincere e senza ambizione.

Caro amico mio perdonami, se ho persino sostituito il mio appellativo di senzatetto, con uno più chic e d’oltralpe, come quello di “Clochard”, che ho sempre maledetto.

Rammaricato di non averti potuto conoscere prima, termino con una appropriata citazione di Orazio: “Spesso accade che i meriti di una persona, passati inosservati in vita, vengono poi riconosciuti ed esaltati dopo la sua morte”.

Qui mi reclamano in tanti e così devo lasciarti, ti porgo con rispetto questo mio ultimo omaggio, da non considerarlo come un ingannevole miraggio;

quindi adesso guadagno l’uscita da tale dialogo, senza più l’aiuto di questo mio debole coraggio.

Omu Cani.

Pietro Fiorito.

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