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Riceviamo e pubblichiamo – Lavoratori pubblici a termine: più tutele dalla Ue

La Commissione ha avviato la procedura di infrazione contro l’Italia; la CGUE è già orientata a riconoscere i diritti del personale precario della PA.

L’Italia è responsabile di discriminazioni nei confronti dei lavoratori pubblici con contratto a termine: lo afferma la Commissione dell’Unione Europea, che ha avviato un procedimento di infrazione, destinato molto probabilmente a sfociare davanti alla Corte di Giustizia.

Numerose le categorie di pubblici dipendenti coinvolte: personale docente della scuola come gli insegnanti precari, appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale, Vigili del Fuoco volontari e richiamati in servizio, lavoratori delle Università e degli Istituti di alta formazione artistica e musicale.
Tutti costoro, a fattor comune, sono interessati dai rimproveri che l’Ue muove all’Italia: Bruxelles ravvisa una violazione, da parte delle nostre normative nazionali, dell’Accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato [1].
La legislazione italiana, infatti, stando ai rilievi sollevati dalla Commissione europea, esclude i lavoratori a termine delle pubbliche amministrazioni dalle tutele previste, invece, per i lavoratori impiegati nel privato, a partire da quella che prevede la trasformazione automatica in un contratto di lavoro a tempo indeterminato quando la somma dei periodi dei contratti a termine supera i 24 mesi di durata complessiva.

Alcuni giudici italiani del lavoro avevano già sollevato tali questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia europea e in tali occasioni essa aveva dichiarato l’incompatibilità di diverse disposizioni normative nazionali in contrasto con il diritto europeo.

In particolare, la Corte di Giustizia si è soffermata sul Jobs Act [2] che preclude ai dipendenti pubblici a termine la possibilità di ottenere il risarcimento del danno in caso di «abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato».

Ma anche alcune norme di settore contrastano con la direttiva europea: è il caso degli insegnanti, dove la legge [3] prevede la possibilità di conferire supplenze temporanee quando si è «in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo».

Anche in questo caso, la Corte di Giustizia è intervenuta affermando la contrarietà delle disposizioni normative italiane sia perché esse non prevedono tempi certi per l’espletamento delle procedure concorsuali, sia in quanto, consentendo una possibilità praticamente illimitata di supplenze, esclude i docenti precari dalla possibilità di ottenere un risarcimento dei danni.

In effetti, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione italiana la prova del danno è estremamente difficile da fornire (non a caso gli esperti la definiscono in tali casi «prova diabolica»), poiché occorrerebbe riuscire a dimostrare in cosa consiste la perdita di chance, e dunque di aver dovuto rinunciare a migliori e più proficue occasioni di lavoro durante lo svolgimento del rapporto a termine.

Ora, invece, vista la nuova procedura di infrazione e l’orientamento già espresso in proposito dalla Corte di Giustizia, diventa più concreta la possibilità per questi lavoratori di riuscire ad ottenere il risarcimento dei danni derivati dall’indebita ed eccessiva durata del rapporto di lavoro a tempo determinato. E alcuni potrebbero agire in giudizio anche per il riconoscimento di un maggiore livello retributivo in caso di stabilizzazione con assunzione in ruolo, poiché i periodi di servizio prestati durante l’arco di svolgimento del rapporto a termine andrebbero conteggiati nella determinazione dello stipendio da attribuire: la Corte di Giustizia ha già affermato questo principio occupandosi della vicenda dei lavoratori delle Autorità indipendenti, come l’Agcm (Autorità Garante Concorrenza e Mercato).

note
[1] Direttiva Ue n.1999/70/CE, clausole nn. 4 e 5.

[2] D.Lgs. n. 81 del 15 giugno 2015.

[3] Art. 4 Legge n. 124 del 3 maggio 1999.

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