PERDERE LA LENTICCHIA DI USTICA SARA’ UN ERRORE IMPERDONABILE


Leggere oggi su www.usticasape.it il resoconto dell’intervista a Giuseppe Mancuso è stato come ricevere un pugno nello stomaco! E pensare che ho dedicato a questo problema due dei miei interventi su questo meritorio blog. Ormai anche i ciechi vedono che i terreni coltivati e coltivabili si assottigliano sempre di più per i più vari motivi. Quello principale è senza dubbio l’abbandono della campagna non più in grado di mantenere a stento una famiglia in ragione dell’esiguità degli appezzamenti: poco più di un ha per coltivatore con rare eccezioni di 5 o 6 ha vedasi Mancuso ed i Palmisano Salvatore, Carmelo e Pasquale. Tutto è iniziato negli anni ’60 quando è partito un primo tentativo di avvio di un turismo ancora molto gracile ed in massima parte poggiante sulle spalle di Ercole Gargano. Fino ad allora le famiglie dei contadini si erano arrangiate in qualche modo stentando parecchio, ma il capofamiglia si rompeva la schiena tutto il giorno supportato solo da una coppia di buoi e dai figli maschi, per coltivare il suo micro appezzamento, necessariamente con metodo intensivo data l’esiguità della superficie.Dai primi anni ’60 ha iniziato a svilupparsi una prima presenza di acquirenti di fondi non per coltivarli, bensì per costruirvi un immobile dove trascorrere le vacanze. Ciò ha consentito ai giovani agricoltori di trovare occupazione nell’edilizia che assicurava un decoroso sostentamento. Questa corsa all’impiego alternativo ha funzionato anche come liberazione dal durissimo lavoro dei campi ed è continuato sino a tutti gli anni ’90. Successivamente questa occupazione è diminuita sia perché non si è verificato quello sbocco turistico pieno che inizialmente si auspicava, sia perché è stato giustamente posto un freno alle costruzioni. Ischia docet; si voleva evitare ciò che si è verificato su quell’isola: un immenso biancore di case poste l’una addosso all’altra per tutta la superficie dell’isola e con il verde praticamente sparito. Ad Ustica meritoriamente, è stato impedito che ciò si verificasse, senza prevedere però che molti terreni erano proprietà di contadini senza eredi che potessero in qualche modo occuparsene. Il risultato è stato, è, il crollo del prezzo del terreno: sono stati offerti 60.000 euro per 11.000 mq.- Sembra che questo fatto non c’entri con la lenticchia, invece sì perché quei giovani che hanno assaporato la libertà di essere indipendenti e recuperato dignità con un lavoro non sono disposti a tornare sui loro passi reinventandosi coltivatori di lenticchie. La coltivazione della lenticchia svolta con metodi sostenibili come ad Ustica è molto faticosa: si pensi a giornate intere chinati sulle piantine ad estirpare l’erbaccia e non per una sola tornata! Se invece alcuni giovani volessero comunque riciclarsi tornando alle origini con l’ausilio di macchine agricole moderne, dovrebbero poter accedere a contributi regionali o statali per comprare il terreno anche, perché no? un po’ scontato e continuare questa antica e nobile tradizione. Internet riporta brevemente che la migliore è quella coltivata a Castelluccio. Le ho assaggiate entrambe di Colfiorito e di Castelluccio e non per spirito di parte, il mio giudizio è che quella di Ustica è di gran lunga superiore, tant’è vero che l’Austronauta Samantha Cristofetti l’ha mangiata sulla ISS. Purtroppo non è alle viste un’inversione di tendenza nel senso che l’aumento crescente del prezzo della lenticchia non attira i giovani verso questo sbocco dal punto di vista economico assai interessante per i più svariati motivi. Ciò che invece temo e che rappresenta un pericolo concreto è che essa possa scomparire. Ciò emerge dalla preoccupante intervista rilasciata daGiuseppe Mancuso a slow food. La siccità del 2024 purtroppo non è un episodio, piuttosto potrebbe essere l’inizio di un trend che inizia dalla Sicilia per estendersi progressivamente a tutta l’Italia. L’ho segnalato altre due o tre volte, che alle isole Svalbard che si trovano a nord della Norvegia hanno costruito un rifugio per tutte le sementi del mondo da conservare in un rifugio a prova di bomba atomica e mantenute in modo rigorosamente scientifico a temperatura ambiente per farvi ricorso qualora si verificassero sconvolgimenti climatici tali da perdere alcune preziose biodiversità. Non voglio essere una moderna Cassandra; ma insisto ancora una volta: inviamo a questo centro una quantità (da definire) di lenticchie e non ce ne pentiremo. La volta scorsa ho anche indicato il nominativo di chi poteva occuparsene ma forse ho presunto troppo. Questo significa che se qualcuno mi darà il benestare per occuparmene io, lo farò molto volentieri. Diversamente fra non molti anni la nostra preziosa lenticchia sarà solo un ricordo!

Giuseppe Giuffria

Una risposta

  1. D’ACCORDISSIMO sulla conservazione dei semi alle Lofoten; ma una buona strategia sarebbe anche una deroga alla caccia, solo per i colombacci, che infestano i campi. C’è un’ottima pietanza marocchina che si chiama Pastilla e si fa con la carne di colombo… Potremmo suggerirla ai nostri fantastici chef usticesi, perché no? A parte l’ironia, tra siccità e uccelli siamo messi male. Poiché per la siccità non possiamo far nulla, concentriamoci sugli uccelli. Sarebbe assurdo, in un’Italia che vede sempre più giovani tornare alle campagne e guadagnare, invece che ciondolare tra precariato e sussidi, che proprio un prodotto di nicchia e redditizio come la lenticchia di Ustica debba essere penalizzato

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