Ustica sape

Nel diario di un padre-scrittore sul figlio scomparso tragicamente


DAL LIBRO “GIUSEPPE”,
OLTRE LA LETTURA

APPLAUSI TRUCCATI

di el grinta

Il 7 luglio 2017, sono stato ospitato a Ustica, a Contrada Punta Spalmatore.

Ho iniziato a girare per tutta Italia per presentare il mio libro, GIUSEPPE, firmato con lo pseudonimo di El Grinta ed edito da Albatros, da poco.

Quello è il primo viaggio che effettuo in Sicilia.

Lo devo alla buona eco riscossa con la vincita del secondo posto ex aequo per la narrativa edita, al Premio Piersanti Mattarella 2016 e l’evento è stato inserito in una serie voluta dall’Architetto Anna Russolillo che, all’interno del villaggio turistico di cui è proprietaria, per quell’estate, si è inventata il “Villaggio Letterario”.

Il romanzo è ispirato al suicidio realmente accaduto nella notte tra il 24 ed il 25 marzo 2014 a Milano, città in cui vivo, di Giuseppe, il mio primo figlio, all’epoca ventunenne (il primo di tre), quando cioè apre la finestra della sua camera, all’ottavo piano di un palazzo, e si lancia nel vuoto.

Ho cercato di raccontare il mal di vivere di un essere che si è sentito sin dall’adolescenza intrappolato nel proprio corpo e, infatti, GIUSEPPE è anche la storia di Noemi, alter ego femminile che assume contorni definiti nella vita di noi genitori solo nel momento in cui nostro figlio si toglie la vita.

Ricostruisco la vicenda a ritroso, a partire dalla notte maledetta, attraverso le pagine di un diario che auguro a chi ora mi sta leggendo e a chiunque altro, di non scrivere mai.

Le colonne portanti del narrato, dove trova ampio spazio anche il racconto delle mie emozioni, sono due: l’identità di genere e il disagio giovanile che porta all’auto distruzione.

Servirà davvero raccontare a qualcuno della grande sofferenza di un ragazzo milanese di ventuno anni e del profondo dolore di un padre?

Non lo so, ma sta di fatto che quel giorno mi trovo lì a Ustica.

L’isola è bellissima. Anche il mare che ho potuto ammirare già dall’aliscafo nel tragitto da Palermo, mi ha lasciato senza fiato. Mi spiace solo che papà, cioè la persona che mi ha insegnato ad amare questo amico blù, non sia con me.

Sono poi colpito dai colori. Addirittura, in spiaggia, per ricordo, vorrei raccogliere un sasso di origine vulcanica nero come il carbone e che sembra di zucchero come quelli che si mettono nelle calze per i bambini alla Befana, ma mi fermo perché non so se sia consentito.

Inizia la sera e siamo sotto un portico dove è gradevole intrattenersi.

A presentare c’è una scrittrice di Palermo, Lucia Vincenti, che non avevo mai visto prima. Ha letto GIUSEPPE, si è appassionata e mi mette a mio agio. Meno male perché sono le mie prime presentazioni e sono un po’ (parecchio) emozionato.

Lucia Vincenti comincia a intervistarmi coinvolta.

Tra il pubblico, in fondo, vedo un gruppetto di giovani, sono tre ragazze e un ragazzo, che sin da subito fanno un “tifo” appassionato. Li avevo già notati la mattina per la loro esuberanza e giovanile gioia di vivere. Sono gli animatori del villaggio, solo che non mi aspettavo che partecipassero anche loro alla presentazione.

Più parlo e più applaudono. Gridano in continuazione: “bravo”, anche se non capisco se si riferiscono a me o a mio figlio. La loro allegria e giovialità sono davvero contagiose. Non vi dico poi quando si racconta nei dettagli di Giuseppe, in particolare quando Lucia Vincenti legge la lettera che ha lasciato e che ho pubblicato integralmente e fedelmente nel romanzo.

La presentazione finisce e, visto il comportamento che hanno avuto fino ad allora, mi aspetto di ritrovarmeli tra quelli che acquistano una copia del libro. Invece viene solo la ragazza più anziana, il “capo villaggio”, che si presenta come la partinicana.

Non capisco, ci rimango un po’ male, comunque sto per andarmene, quando arrivano le altre due e una, la più spigliata, mi dice di botto e senza mezzi termini, sempre allegra, gioviale e sorridente:

“Lavoriamo da una settimana, non abbiamo preso ancora lo stipendio e non possiamo prendere il libro, però, volevamo stare lo stesso vicine a Giuseppe!”.

Rimango di sasso.

Capito l’arcano? Non avendo i soldi per prendere una copia, il sistema che si erano inventate per stare vicino a mio figlio, era quello di spellarsi le mani a più non posso, per applaudirlo e acclamarlo.

Tra partentesi, a quel punto, la tentazione di regalare loro GIUSEPPE è forte, ma non lo faccio. Meno male perché situazioni come quelle anche se meno oleografiche, girando per le scuole, da lì in poi, con i ragazzi, mi capiteranno in continuazione.

Qui mi fermo.

Ma perché quel comportamento? Si può voler bene a un ragazzo che non si è mai conosciuto e di cui si è sentito solo un po’ raccontare dal padre? Non lo so. Veramente. Il ricordo di quel momento, però, ogni volta che ci penso, mi mette di buon umore e il contagio di quella gioia di vivere e esuberanza ancora fa effetto…

* * *

Non so perché ho voluto scrivere un libro su Giuseppe. Scrivere è stata la mia morfina, unica droga capace di anestetizzare un dolore terrificante. Quando scrivevo, infatti, Giuseppe era con me.

Alla fine, è venuta fuori una testimonianza verace che, innescando la riflessione, può essere un ausilio per quei ragazzi che, come Giuseppe, affrontano problemi più grandi di loro che non riescono a gestire. E, naturalmente, per tutti quei genitori e docenti che vogliono stare vicino ai loro figli ed allievi e accettarli e amarli per quello che sono.

All’inizio, quando ho cominciato a scrivere, non avevo alcun obiettivo se non quello di commemorare mio figlio, ma, con il passare del tempo, ho trovato l’ attenzione di tutti.

Il racconto, con l’obiettivo dichiarato di onorare la memoria di Giuseppe, però, cerca anche di capire la forte componente dell’hikikomori di questo figlio difficile ed è questo l’unico grande cruccio che ho come scrittore: quando parlo con i ragazzi, ma anche con gli adulti, a meno che non ci sia un motivo ben presente nelle loro vite, ci si concentra sempre sui problemi dell’identità di genere e poco sull’isolamento, che invece è stata la causa della morte di Giuseppe e chissà di quanti altri ragazzi. Ma se riesco a farlo capire avrò vinto la mia battaglia…

Da novembre 2017 a novembre 2019, prima cioè che il covid fermasse l’attività in presenza delle scuole, GIUSEPPE è stato presentato per tutta Italia in 24 Istituti Superiori e una Inferiore (solo alle terze medie), fino ad arrivare a novembre 2020, quando l’Amministrazione Comunale di Viareggio ha voluto tenere anche un incontro on line, con un credito formativo riconosciuto dal MIUR, per i docenti che vi partecipavano.

Mi dicono che il libro è quello che tutti noi genitori dovremmo leggere e che comunque è ben indicato per i ragazzi, a partire dalla terza media.

Le presentazioni nelle scuole, poi, di fatto, sono l’occasione per creare un bel dibattito e cercare di fare tutti assieme – studenti, loro docenti, psicologi dello Sportello Ascolto se presente, dirigente scolastico e padre-scrittore – proiezioni per il futuro e per le proprie vite, soprattutto se attraversate da problemi che non si riesce a risolvere da soli, proprio per non finire di scegliere come Giuseppe di togliersi la vita o comunque di isolarsi.

E se questo è il giudizio del pubblico, come critica letteraria, da agosto 2016 ad aprile 2019, GIUSEPPE ha ricevuto 21 riconoscimenti in tutta Italia, tra cui vari primi Premio per la narrativa edita.

Di recente, forte dell’esperienza maturata parlando con gli studenti nei miei giri per lo Stivale, ho elaborato un nuovo testo dove le “telecamere” sono puntate solo su Giuseppe e Noemi, e alla fine di febbraio ho firmato un nuovo contratto di edizione con la CSA, la casa editrice di Castellana Grotte, Bari, che, contemporaneamente, ne curerà anche la cessione dei diritti all’estero.

A settembre, quindi, in libreria arriva “Mio figlio. L’amore che non ho fatto in tempo a dirgli” di Marco Termenana (anagramma del mio vero cognome).

Ma allora, figlio mio, quanti amici ti sarai fatto dove sei ora? E soprattutto, San Pietro come ti chiamerà? Giuseppe o Noemi?

Secondo me, per Lui, come per tutti noi che ti vogliamo bene, è indifferente!

———-

L’autore è contattabile attraverso la sua pagina Facebook “El Grinta Milano”.

BIOGRAFIA  EL GRINTA

El Grinta è nato a Venezia il 28 settembre 1958. Appartiene, però, ad una famiglia meridionale e, infatti, è cresciuto a Salerno. Qui, nel 1976, ha iniziato l’attività giornalistica per “Agire”, una rivista parrocchiale, conseguendo poi il primo premio per la narrativa ad un concorso letterario (Premio “Ortensio Cavallo”, 1977). Dal 1980 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Nel 1982 si è laureato in Scienze Politiche, all’Università Statale cittadina. Nello stesso anno si è trasferito a Milano, dove ha cominciato a lavorare in qualità di consulente stampa per aziende del settore informatico ed alta tecnologia. Attualmente è impiegato come dirigente presso un’importante azienda italiana.

La grande passione per il racconto scritto, accantonata da quasi 26 anni, all’enorme dolore per la perdita di Giuseppe, il primo dei 3 figli scomparso suicida a Milano all’età di 21 anni il 25 marzo 2014, riappare con decisione ed appunto grinta nella sua vita, consentendogli di andare avanti e trovare la forza per rialzarsi.

Con GIUSEPPE questo padre riesce a ridare senso alla sua esistenza ed a “resuscitare” il figlio almeno in ispirito: scritto con l’unico obiettivo di ritrovare la sua compagnia, tra l’altro in coincidenza di una separazione dalla moglie avvenuta dopo 23 anni di matrimonio, e solo con la sommessa speranza di potere innalzare una cappella al Cimitero con i proventi conseguenti ai diritti di autore (“è la mia morfina” scrive già nelle prime pagine), nel giro di circa 2 anni  – la prima edizione è di maggio 2016 e la seconda di maggio 2018 –  di fatto, cambia vita.

GIUSEPPE, da agosto 2016 ad aprile 2019, ha ricevuto 21 riconoscimenti in tutta Italia; nell’anno scolastico 2017-2018, è stato presentato in 9 scuole in tutto il territorio nazionale ed in 14 nell’anno scolastico 2018-2019 ed una nell’anno scolastico 2019-2020: il modo di scrivere di El Grinta immediato, diretto e senza mezzi termini, che va oltre anche al Verismo stesso, ne fa una lettura piacevole e ricercata sia dalla critica che dal pubblico, rendendolo inconsapevolmente già “tagliato” per una traduzione cinematografica.

 

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