L’inabissamento in mare del DC9 Itavia I-TIGI, la sera del 27 giugno 1980: uno dei tanti misteri della storia d’Italia del dopoguerra. Il geologo e giornalista scientifico Franco Foresta Martin, con una lunga e meticolosa ricerca, ha cercato di comprendere per quali motivi all’immane tragedia sia stato dato il nome di “strage di Ustica” e se la forzata attribuzione non rappresenti il primo anello di una lunga catena di depistaggi e di bugie.
In questa intervista-video, rilasciata al Foglietto, Foresta Martin riassume i risultati della sua ricerca di carattere geografico sui luoghi che videro la caduta dell’aereo.
La sera del 27 giugno del 1980 alle ore 20:59 il DC9 Itavia in volo da Bologna per Palermo, con 81 persone a bordo, scomparve dagli schermi di controllo dei radar. L’inchiesta giudiziaria accertò che, dopo i primi momenti di incertezza, i controllori di volo ricavarono dai tracciati radar la posizione dell’aereo al momento della scomparsa: coordinate 39°43’N, 12°55’E, quota 2500 piedi, pari a circa 7620 metri sul livello del mare.
L’inchiesta giudiziaria accertò che i soccorsi navali e aerei per la ricerca di eventuali superstiti partirono tardivamente e che, solo la mattina seguente il disastro, un elicottero individuò le prime tracce dell’aereo. I corpi recuperati furono 39 su 81. L’area di massima concentrazione dei relitti e dei cadaveri galleggianti si trovava qualche km a Sud-Est rispetto alle coordinate di scomparsa. La sua distanza da Ustica era di 110 km.
I rottami dell’aereo furono recuperati, inabissati a 3.600 m nel Tirreno, in due riprese: sette e undici anni dopo. Il relitto si trovava a pochi km a est rispetto al punto di scomparsa. I resti inabissati avevano distanze da Ustica comprese fra 115 km e 120 km a Nord.
Fonte. Il Foglietto della Ricerca
di Sonia Topazio
(Intervista integrale)
(Sintesi intervista)