In questi giorni mi e’ tornato in mente un video di Marco Travaglio di un decennio fa.
Nel corso della consueta agile conversazione, il giornalista ha ricordato cosa accadde nel 1997 al giudice Gherardo Colombo, l’intellettuale del pool “mani pulite”.
Il Giudice Colombo, intervistato sull’andamento delle indagini sulla corruzione, disse al giornalista che stavano per concludersi malamente a causa delle modifiche legislative in corso d’opera; aggiunse che, secondo lui, l’unica modifica corretta per salvare la lotta alla corruzione, era di garantire la non punibilita’ a tutti i corrotti ed ai corruttori che si fossero presentati all’autorita’ giudiziaria raccontando, per primi, fatti di corruzione non noti agli inquirenti.
Cosi’ ci sarebbe stata un’accelerazione nella ricostruzione del sistema criminale sotteso alla corruzione ed i protagonisti avrebbero avuto interesse a raccontare tutto, estraniandosi per sempre dalla vita politica e dal torbido giro d’affari segnalato in cambio della confessione prima di essere scoperti.
Aggiunse che il sistema si basava sul ricatto e che tutti i protagonisti godevano della impunita’ perche’ tutti quanti i protagonisti dovevano tacere in quanto potevano essere vittime di simili confessioni da parte dei i loro avversari politici.
Successe un gran parapiglia: i presidenti di Senato e Camera (Mancino e Violante ) emisero un comunicato congiunto con cui deploravano le dichiarazioni del giudice Colombo ed il ministro della Giustizia Flick avvio’ contro il magistrato un’azione disciplinare che non ebbe fortuna.
Poco dopo, durante un dibattito tra un altro magistrato del pool mani pulite, Piercamillo Davigo e Giuliano Ferrara, all’epoca direttore del “Il Foglio”, quest’ultimo ribadi’ il concetto che in Italia non si potesse far politica se non si era ricattabili, specificando che i “politici” dovevano sapere quanto poteva essere lunga la briglia che doveva essere tirata quando l’avversario avesse abusato del suo diritto -dovere di segnalare gli abusi del potere. Il senso era che nessun politico doveva essere talmente libero da condizionamenti da non poter essere ridotto al silenzio col ricatto (ad Ustica si usa il concetto più soft di “controllabile”).
Tale concetto, della necessaria ricattabilita’ dei politici, se non ricordo male, fu confermato dal senatore Cesare Previti in un breve colloquio informale col giudice Colombo, anch’esso scanzonatamente riportato da Marco Travaglio: ”A dotto’, c’ha ragione lei:qua e’ tutto un ricatto” .
Pensavo a questi fatti, questa estate, ad Ustica quando, durante un sopralluogo surreale, mi venne da ricordare le parole di Vito Ciancimino: la legge per i nemici si applica e per gli amici si interpreta.
Molto tempo e’ passato dai tempi di “mani pulite” e molto di piu’ dal periodo di “splendore” della stella di Vito Ciancimino pero’ certi meccanismi -perversi- sono ancora attuali ed avvelenano la serena convivenza delle persone e lo fanno attraverso coloro che dovrebbero pensare a migliorare la vita dei loro concittadini, quelli che dovrebbero esercitare il ruolo istituzionale, elettivo o per cooptazione, con “disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”( art. 54 della costituzione).
Beh, i giuramenti non dovrebbero essere sistematicamente traditi…
Succede, poi basta pentirsi- anche solo nel confessionale…- e si puo’ tranquillamente tornare al girone dei ricatti incrociati. Gherardo Colombo e’ in pensione e tanti non hanno memoria. Tanti ma non tutti.
Buona Domenica Francesco Menallo